Cafarnao, tra caos e miracoli

Un bambino ammanettato che cammina in una prigione di Beirut. Inizia con questa immagine potentissima “Cafarnao – Caos e miracoli il terzo lungometraggio della regista libanese Nadine Labaki, ora nelle sale italiane.
Il termine “Cafarnao” definisce un luogo pieno di confusione e disordine, come la vita del protagonista, Zain, di soli 12 anni ma con già tante responsabilità.
Il tutto si snoda in una città che lotta tra modernità e Medioevo, dove le bambine di undici anni vengono date in sposa a uomini troppo grandi, dove mercenari senza scrupoli vendono viaggi costosi verso mete europee che, nell’immaginario di chi è ancora innocente, rappresentano una fuga possibile da una realtà dura da affrontare.
Un mondo dove chi non ha una carta di identità non ha il diritto di esistere.
Tante le tematiche sociali toccate dalla regista che prende ispirazione sia dai fratelli Dardenne che dal neorealismo italiano degli anni ’40. Gli attori scelti hanno tutti subito nella propria esistenza i colpi avversi dell’esclusione sociale e sanno come trasmettere questa sensazione di abbandono (l’attore bambino Zain Al Rafeea è un ex rifugiato siriano).
Il piccolo protagonista vive mille vite, incrocia lo sguardo di persone diverse che spesso non lo considerano nemmeno se non per ottenere qualcosa da lui.
Cruciale è l’incontro di Zain con Rahil, una giovane ragazza etiope che lavora in un ristorante e che per paura di esser espulsa nasconde il suo bébé in un carrellino della spesa.
L’incontro tra i due porta ad altri percorsi narrativi, con continui rimandi al processo dove Zain è imputato contro i genitori.
Lo sguardo dello spettatore segue il bambino nei quartieri più poveri di Beirut ed è difficile non provare compassione per una vita così giovane e così travagliata. Dopo il salone di bellezza di “Caramel”, Labaki ha cambiato registro ma ha di nuovo colpito nel segno perché “Cafarnao” è un film che commuove, entra nelle viscere e non lascia indifferenti.

Cristina De Palma

LA CAPITALE NELLA GIUNGLA DEI MINIMARKET

La Capitale nella giungla dei minimarket Roma, ore 24, zona Monti. Una piccola folla composta da tantissimi giovani si raduna intorno ad un piccolo minimarket con una luce al neon scintillante. Hanno tutti una birra in mano e sono intenti a chiacchierare allegramente. La stessa scena si ripete ogni sera per le vie di Trastevere e di San Lorenzo.

Ma perché si crea la fila proprio davanti a quei piccoli negozi di quartiere gestiti esclusivamente da cittadini del Bangladesh? Semplice, perché lì la birra costa 1,20 euro. Nel locale accanto invece, il prezzo sale a 3 euro, raggiungendo picchi di 6 euro la bottiglia. Un bel risparmio per chi vuole far festa senza spendere troppo. Ma questi piccoli negozi alimentari che, proliferano a vista d’occhio, sono la salvezza anche di moltissimi stranieri che, una volta approdati nella città eterna, sono alla disperata ricerca di un supermercato aperto fino all’una di notte.

La fortuna di questi minimarket, chiamati a Roma “Bangladini”, è tale che due giovani ragazzi romani hanno creato anche un app per cellulari che permette di localizzare in modo veloce, il negozio più vicino. Con questa strumento è possibile conoscere in anticipo l’orario di chiusura di un esercizio ma soprattutto di conoscerne il prezzo della birra.

Ma cosa differenzia questo tipo di attività da un piccolo alimentare italiano qualsiasi? Innanzitutto l’orario di chiusura. I “bangladini” restano aperti fino a tardi, a volte anche fino alle due del mattino e offrono ogni genere di alimento e bevande. E questo dal lunedì alla domenica, non stop. Mentre un alimentare italiano di quartiere chiude intorno alle 20, spesso alle 19.30. I supermercati notturni inoltre sono pochi e lontani dalla zona di residenza, e quindi il minimarket rappresenta l’ultima salvezza per chi deve fare la spesa last minute. Ma quanti sono i minimarket a Roma? E da chi vengono gestiti? Le attività commerciali gestite da commerciati bengalesi sono circa 4500. Secondo la Camera di Commercio di Roma, analizzando la composizione delle nuove imprese nel 2015, la comunità più numerosa proviene proprio dal Bangladesh (12.235 imprenditori), seguita da quella cinese (3.333). E secondo Confesercenti, i cittadini bengalesi controllano il 22,7 per cento dei minimarket in Italia.

Un’imprenditoria vincente e fiorente che apre lo scenario anche a qualche domanda di carattere legale. Quali sono i passaggi per aprire un minimarket? Per prima cosa, bisogna frequentare un corso di abilitazione, l’ex Rec anche detto corso Sab (Somministrazione di alimenti e bevande) che consente l’iscrizione nel Registro Imprese. In seguito, per l’apertura effettiva di un negozio, bisogna disporre di circa 20mila euro, ma la cifra può variare a seconda del quartiere. I bengalesi benestanti prestano i soldi ai connazionali meno fortunati, creando una rete di solidarietà che spesso sfocia in racket e sfruttamento. E qui iniziano le “curiosità”. In questi piccoli negozi, è difficile vedere venditori italiani. Vengono assunti esclusivamente persone del Bangladesh, in nome di una vicinanza culturale e religioso molto marcata. Questo permette ai bengalesi arrivati da poco in Italia di ottenere un permesso di soggiorno e di poter mantenere la propria famiglia. Ascoltando le voci di Abdullah e dei suoi connazionali, si scopre che il ritmo di lavoro è sempre lo stesso: 8 ore di lavoro da contratto, che spesso si allungano fino alle 16 ore non stop. Stipendio medio? Tra i 600 e 800 euro per il full-time e 200 euro per il part-time.

Questi esercizi commerciali crescono in barba alle regole, vantando occupazioni di suolo pubblico inesistenti, acquistando all’ingrosso e vendendo al dettaglio frutta e verdura a prezzi di molto inferiori a quelli di mercato. I controlli sono difficili, a volte inesistenti. Ma è sulla vendite di alcol che si scatena la vera polemica. Spesso le bevande alcoliche, vendute anche oltre l’orario consentito dalla legge, vengono battute con lo stesso tipo di scontrino valido per i generi ortofrutticoli, che hanno però l’Iva al 4 e non al 22 per cento. In questo modo, il guadagno per il commerciante raddoppia ogni sera. E quando scatta la sanzione, la soluzione usata per beffare la legge è sempre la stessa: chiudere il negozio per poi riaprirlo, dopo alcuni mesi, pochi metri più in là.

Insomma, una concorrenza sleale e molto forte per i negozi alimentari italiani che devono far fronte ad una tassazione molto importante e a controlli rigidi che spesso non permettere loro di arrivare a fine mese. Una situazione non proprio sotto controllo e che sembra non destare molta preoccupazione fra i clienti intervistati che di fronte ad un evidente risparmio, chiudono allegramente un occhio su illegalità e concorrenza sleale.

Paris, Paris

Ci metterò un po’ a riconciliarmi con Parigi.

L’ultima volta che ci sono andata, forzatamente, è stata dura.

Tanti ricordi, troppi.

Souvenirs legati all’infanzia, legati alla casa dove ho trascorso così tante estati. Quante passeggiate tra i boulevards e i lungo Senna senza una meta precisa, solo godendomi la camminata.

Quanti ricordi che ancora fanno male, troppo legati a mamma, al passato che è andato via in un soffio.

Il tempo guarirà le ferite e forse trasformerà il dolore in accettazione.

Ma per il momento, Paris è solo il nome di una città qualunque e non più il luogo dove ho lasciato un pezzo del mio cuore (infranto).

Forse un giorno tornerà ad essermi amica.

Enjoy…

 

 

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Quella sensazione…

Sono testarda, a volte.

Sono sensibile, troppo.

Sono timida, spesso.

Sono io.

Nel bene e nel male.

Ognuno di noi percorrere una strada.

Alcuni inciampano, altri trovano solo semafori verdi.

Io ho trovato sia semafori verdi che semafori rossi.

Eppure a volte mi viene lo sconforto.

Mi sembra che tutto vada a rotoli, che non riesco a gestire la mia vita. Che non riesco ad avere un controllo sulle cose che mi succedono.

Non so se ci sia una soluzione a ciò. So unicamente che mi sento impotente, ed è una sensazione molto sgradevole.

Come si fa?

Enjoy…

 

 

Maia Flore

A Natale mi hanno regalato un libro fotografico dell’artista francese Flore. Ammettendo la mia ignoranza, ho cercato sul web alcune informazioni su di lei e i suoi lavori.

Ho avuto risposta alla mia ricerca, ma si sa che il web è magico anche perché ti permette di trovare connessioni con altre cose e persone che non pensavi neanche esistessero.

Ed ecco imbattermi su un link “Maia Flore work“.

Incuriosita, apro la pagina e mi entro in un mondo curioso e invitante. Il mondo appunto di Maia Flore, classe 1988, una giovane fotografa parigina che ha realizzato non pochi lavori, o “work” come si usa nell’ambiente artistico, a dir poco colorati e solari.

Uno in particolare ha colpito la mia attenzione: “Sleep Elevations“.

Si vedono giovani donne trasportate verso l’alto durante il sonno da oggetti differenti frutto della loro immaginazione.

Sono scatti vivaci e molto alla Tim Burton, in stile Alice nel Paese delle meraviglie.

Come in una perfetta rappresentazione delle fasi del sonno, i corpi sono sollevati, privi di resistenza, mostrando la leggerezza del mondo onirico verso il quale si muovono.

Per farvi un’idea ecco il link del suo sito: http://www.maiaflore.com

 

Enjoy e buon 2018

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Fortunata

  • Attenzione contiene spoiler del film “Fortunata” di Castellito –

L’altra sera sono andata a vedere con un’amica “Fortunata”, l’ultimo film del regista Castellito, tratto  dal libro della moglie Margareth Mazzantini.

Avevo sentito della vittoria a Cannes di Jasmine Trinca come migliore attrice protagonista ma, in barba ai consigli, ero mai andata vedere al cinema perché pensavo che fosse il solito film di Serge dove i protagonisti sono tutti disperati, vicini al suicidio. Insomma non avevo nessuna voglia di deprimermi.

Invece mi sono ricreduta.

1 ora e 50 minuti di vita che scorre velocemente senza mai annoiare.

La storia è quella di una donna\mamma\moglie (ex, o almeno ci prova) che cerca di sbancare il lunario e aprire un negozio di parrucchiere tutto suo. Le sue giornate scorrono velocemente tra i clienti (fa la parrucchiera a domicilio), la figlia, le lotte senza fine con l’ex marito, e Chicano il vicino di casa bipolare che deve prendersi cura della madre malata di alhzeimer e che ha il vizio del Lotto.

Tutto si svolge nel quartiere di TorPignattara, dove la realtà sembra avere un altro sapore: quello della spontaneità. Non c’è tempo per manierismi ed educazione. Tutto scorre rapidamente, forse perché se ci si ferma, si inizia a pensare a tutte le difficoltà che la vita riserva. E allora meglio non farlo, meglio andare come un treno senza guardare in faccia nessuno. (Uno dei punti centrali del film è quando viene chiesto a Fortunata: ma lei non si ferma mai?)

Eppure per una volta Fortunata si deve fermare, lo deve fare, è obbligata.

Lo deve fare per accompagnare la figlia dallo psicologo (è in corso una lotta senza fine con l’ex marito per avere la custodia della bambina di 10 anni).

E lì avviene una sorta di “miracolo”. Incontra uno psicologo che le regala momenti di assoluta felicità, come se fosse sospesa nel tempo e nello spazio. La vita sembra più facile, più bella o forse più normale. Di quella normalità borghese dove il problema principale è dove andare a cena.

Incrociando questo uomo, Fortunata incasella successi su successi. Riesce ad aprire il negozio (chiedendo un prestito alla cinese del quartiere), la figlia è felice, il lavoro va a gonfie vele. Tutto sembra andare per il verso giusto.

Ma come ogni buon film di Serge, arriva la tragedia. E lo spettatore se l’aspetta. Lo sa che questa felicità non può durare, che ci dovrà essere per forza un errore, una sorta di bug che spedirà la protagonista nel cerchio buio della sua quotidianità.

Durante una fuga di amore con lo psicologo a Genova, la figlia lasciata in custodia al vicino drogato e bipolare, cade da una scala e viene ricoverata in ospedale. L’ex marito ne approfitta per chiedere la custodia esclusiva della figlia e la ottiene.

E così crolla il mondo di Fortunata.

Dopo l’allontanamento dalla figlia, e non riuscendo a pagare gli interessi esorbitanti chiesti dalla cinese, deve consegnare il negozio nuovo di zecca alla strozzina, ritrovandosi così persa.

Nel frattempo, il vicino (interpretato da un ottimo Alessandro Borghi) decide di “liberare” la madre in preda a crisi di alzheimer, affogandola nel tevere. Per questo viene rinchiuso in carcere per matricidio. Solo l’aiuto dello psicologo, permetterà a Chicano di venir trasferito in un centro di rieducazione mentale.

Eppure proprio lo psicologo che sembra essere la persona più solida in quel gruppo di giovani disperati si rivelerà essere quella più instabile e farabutta, decidendo di giocare una schedina di Chicano prima che venisse trasferito in carcere.

Quella schedina si rivelerà vincente, ma nessuno mai lo saprà al di fuori dello psicologo che ben si guarderà di comunicarlo a Fortunata.

Il film si conclude però in modo positivo.

Fortunata riesce a riavere la figlia e guardando il mare si evince che la felicità non è vincere il superEnalotto, ma avere accanto una piccola creatura che ti dà la forza per andare avanti.

Il personaggio di Fortunata è un personaggio complesso che lotta con il passato. Un passato difficile che si è chiuso con la morte del padre tossicodipendente. All’età di 8 anni, Fortunata assiste all’annegamento del papà, stordito dalla droga e coscientemente deciderà di non salvarlo. Per anni nasconde a se stessa la verità e solo uno scontro violento con lo psicologo le farà tornare a galla questa dura verità.

Ma solo nell’affrontare con giudizio il passato, riuscirà finalmente a liberarsi e fare pace con esso.

Il personaggio di Chicano invece è un personaggio secondario che deve affrontare la malattia della madre, nonché il suo essere dipendente da psicofarmaci. Un ruolo ben costruito intorno allo sguardo penetrante di Borghi che cattura lo spettatore dai primi istanti.

Un’altra nota positiva del cast è dato da Stefano Accorsi che interpreta lo psicologo borghese che si rivelerà il più instabile di tutti. Una voce inconfondibile che trasuda calma e normalità, ma che nei fatti è solo mistificazione di un profondo malessere che spesso sfocia in crisi di rabbia e urla.

Concludendo, “Fortunata” è un film positivo malgrado la durezza dei personaggi.

Un film che consiglio, ma non per dirsi che si è fortunati perché cresciuti in modo borghese,  ma perché la fortuna va cercata in ogni piccolo dettaglio della vita.

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Enjoy. 

Il prima e il dopo

Solo chi è passato attraverso un lutto, potrà capire queste parole.

Mia mamma è mancata il 26 ottobre del 2016. A scriverlo sembra una vita fa, in giorni invece sono pochi mesi fa.

Eppure qualcosa è cambiato. Inevitabilmente. Normale direte voi.

E’ una sensazione strana: all’inizio ti sembra che niente abbia senso, che tutto sia crollato giù come un castello di sabbia, che non vedi l’ora di farla finita per rivederla. Poi succede che la vita va avanti, e che forse per istinto di sopravvivenza la tua mente inizi a costruire un muro. Un muro nei ricordi, nel passato.

La persona che ero prima mi sembra una persona estranea, una persona che non conosco, che è esistita come in un sogno.

Sono diversa, sono una persona diversa. Non saprei dire se migliore, o peggiore ma sicuramente diversa.

Il mio modo di vedere le cose è cambiato, le mie priorità sono cambiate. Tutto è cambiato.

Alcune volte mi “scordo” che mia madre è morta, come se volessi far finta di nulla. Come a voler cancellare quell’evento nella mia mente.

Ma poi la realtà torna a bussare prepotentemente e ti rendi conto che è tutto reale.

Che dovrai imparare a fare tutto senza di lei.

E guardo gli altri con le loro mamma, pensando che sono fortunati a poterla ancora abbracciare e baciare.

Io non potrò più farlo.

 

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Cos’é l’amore? 

Ok, é un titolo un po’ pretenzioso, lo  ammetto, anche perché non ho la minima idea di cosa sia veramente l’amore.

Ognuno ha un modo suo di amare.

Ognuno ha i suoi tempi, le sue speranze, le sue esigenze. E nessuno dovrebbe mai intromettersi in questo.

Quando si é innamorati, spesso si sentono le famose farfalle nello stomaco, ebbene sì. Come nei film, che in fondo traggono ispirazione dalla vita reale.

Eppure malgrado questo, non é facile per due persone guardarsi negli occhi e dirsi “ti amo”.

Non esiste una regola, un momento giusto. Anche se intorno a noi, tutti gli altri sembrano sempre così innamorati, perfetti nei tempi e nei modi.

Esiste un modo di amare tuo, che ti permette giorno dopo giorni, piccoli passi dopo piccoli passi di andare avanti e di provare a costruire qualcosa.

Questo modo di amare lento e a volte difficile non deve essere però una giustificazione nell’attesa che arrivi qualcosa di speciale che stravolga tutto.

Perché in amore si può perdere la concezione del tempo, si può perdere l’appetito, la testa ma mai e poi mai si deve perdere l’amore per se stessi.

Altrimenti, l’altro non diventa amante ma solo carnefice. E nessuno merita di essere vittima. Mai.

Enjoy…

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Se posto, esisto?

Mi sono disconnessa da Facebook tempo fa, dopo una serata in cui mi sono resa conto di quanto ne ero diventata schiava. E bastato un commento di un amico che non vedo da tanto tempo per farmi ravvedere e decidere di provare questa ebbrezza di sparire dal web.

Si potrà obiettare che per evitare di diventare schiavi del web, basta usarlo con parsimonia. Ma per molte persone, come la sottoscritta, postare, scrivere o mettere like era diventata un’abitudine mattutina, pomeridiana e serale. Ogni momento era buono per accedere al social: un semaforo arancione, un pedone che attraversa, anche solo un parcheggio. Ero schiava, succube e prigioniera di un etere che mi aveva preso in ostaggio.

La liberazione è avvenuta come quando smetti di fumare. O ci riesci al primo colpo oppure lasci perdere perché tanto sai già che ci ricascherai. Per me è bastato un click satisfattorio sul tasto “Sì” della domanda “sei sicuro di volerti disconnettere?”.

Ecco, era così semplice. Era così facile sparire. Così veloce accorgersi di non aver più l’ansia di dovere mettere la localizzazione durante una serata tra amici, una tavola imbandita durante una cena romantica. Ecco. Questa per me è stata la vera liberazione.

Anche perché ormai non ci facciamo più caso, ma la connessione sui social è moneta corrente la mattina. Ancora prima di alzarci dal letto, siamo già con il dito sulle notifiche, aggiornando, controllando compulsivamente. E perdendo tempo.

Tanto, troppo tempo.

 

Ps: il mio digiuno da Zuckerberg è durato poco, lo ammetto. Ma ci ho messo tanta buona volontà.

 

Enjoy…

 

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Il collezionista di Aleppo

Una delle cose che amo la domenica mattina è prendere un caffè e leggere il “Corriere della Sera”. E’ uno dei pochi quotidiano che leggo con gusto. E stamane, come sempre, non mi ha deluso, perché ho trovato un articolo molto bello sul collezionista di Aleppo, ovvero Mohammad Mohiedine Anis, 70enne che possedeva oltre 20 macchine americane d’epoca. Di queste 20 macchine, c’è rimasto poco, se non rottami.

L’articolo era accompagnato da varie foto, ma una mi ha colpito particolarmente. Questa qui.

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Si vede Mohammad intento ad ascoltare musica proveniente da un vecchio grammofono, la sola cosa rimasta intatta in questa camera da letto, semi distrutta dai bombardamenti.

Questa immagine è di una potenza unica. Mostra la quotidianità di un uomo che non vuole lasciarsi trascinare dalla disperazione, ma che continua a voler vivere come se nulla fosse accaduto.

La fotografia è stata scattata da Joseph Eid, giovane fotografo di AFP che vive in Libano.

In questa galleria di immagini, potete vedere tutti i suoi lavori scattati in Siria. Sono immagini crude, ma importanti perché fermano il tempo in una città devastata da anni di guerra.

http://www.gettyimages.it/immagine/joseph-eid?excludenudity=false&sort=mostpopular&mediatype=photography&phrase=joseph%20eid

Enjoy

Le mente umana

“La vita migliora quando inizi a fregartene del parere degli altri”.

Stamattina mi è caduto l’occhio su questo titolo dell’Huffington Post. La mia prima reazione è stata affidata alla mente sapiente della “Dottssa Grazia Ar cazzo”, stimatissima psicologa di fama mondiale.

Poi, con calma e assoluta ragionevolezza, ho iniziato a leggere l’articolo cercando di andare oltre il pregiudizio.

Ora non vi dirò che le frasi lette non sono banali, ma in fondo lo scrittore un po’ ha ragione.

Il punto è che sappiamo perfettamente che il pensiero degli altri ci condiziona e che ciò dovrebbe avvenire in minima parte, per non inficiare sui nostri comportamenti quotidiani.

Ma poi cosa accade?

Accade che il 90% delle volte il pensiero altrui ci condiziona e spesso lo fa inconsciamente. Questo non dovrebbe succedere, ma si sa la mente umana è inspiegabile. 

Detto ciò, consiglio a tutti di leggere questo articolo perché se la mente immagazzina le informazioni a modo suo, sono certa che a fine giornata ripenserete a quelle affermazioni, e domani vi sveglierete un po’ più risoluti nel voler cambiare la vostra vita.

http://www.huffingtonpost.it/2016/12/29/la-vita-migliora-e-tanto-quando-inizi-a-fregartene_n_13878246.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001

Enjoy…

 

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L’arte di essere positivi

Recita un detto “when nothing goes right, go left”.

 

Ed è proprio vero.
Una persona dovrebbe trovare il coraggio di cercare la parte bella delle cose.
Parlo di coraggio perché essere ottimisti nei giorni nostri è un atto eroico, a dir poco raro.
Immaginate questo scenario: vi succedono cose negative durante l’arco della giornata.  E’ normale, mi direte.
Verissimo.
Eppure ci sono due modi di reagire:
1) disperarsi, diventare tristi o di pessimo umore ed di conseguenza bloccare ogni azione/reazione.
2) analizzare un attimo la situazione e cercare di trovare il lato buono delle cose. Perché vi assicuro che un lato buono c’è sempre, basta cercarlo o trasformare un handicap in un vantaggio.
In una società dove la negatività è vista come una elemento di moda (chi non sbuffa agli aperitivi snocciolando tutti i “drammi” della giornata, fa così chic?!), essere allegri o almeno spensierati viene recepito come segno di superficialità.
Non c’è errore di giudizio più grande.
Siamo sempre ad un bivio, durante l’arco della giornata, della vita.
Da una parte, la foresta nera, buia e tetra.
Dall’altra, un sentiero luminoso e pieno di colori e vita.
Spetta solo a noi intraprendere la via giusta.
Ripeto, la positività è un allenamento mentale costante.
Richiede sicuramente uno sforzo, ma poi i risultati si ottengono e si vedono.
E se poi le cose dovessero andare male lo stesso, sappiate che dopo una salita c’è sempre una discesa. 
Enjoy…

E se domani…

Non sono l’unica che sta affrontando un periodo complicato.

Non sono l’unica che ha perso la mamma.

Per fortuna ho amici stretti che mi stanno accanto, rispettando i miei tempi e le mie scelte.

4 mesi sono pochi per riprendere una vita “normale” e tanti sforzi li sto facendo.

Non esco spesso, e forse dovrei farlo,  ma sinceramente ho un vuoto dentro che mi fa stare male.

Non potete immaginare il dolore quando ti rendi conto che la persona che ami non c’è più e i gesti quotidiani che facevi non li puoi più fare.

Rendersi conto che una persona ha smesso di vivere e che non la rivedrai per chissà quanto tempo ti fa sembrare tutto superfluo e inutile.

Ci sono così tanti cambiamenti in corso che gestirli è faticoso e spesso confuso.

Non pretendo che le persone mi stiano dietro sempre, perché la vita va avanti e tutti hanno problemi da affrontare.

E io per prima, non voglio essere un peso per nessuno.

Quello che chiedo è tempo. Solo tempo per imparare a capire come uscire da questo tunnel.

Enjoy…

 

Sunset coming on

Ti dicono che con il tempo il dolore si attenua o almeno si trasforma.

Sono passati quasi 4 mesi da quel giorno, e mai come adesso mi sento sola.

I primi mesi non ti accorgi della scomparsa, è come se ci facessi meno caso. Non per cattiveria, non perché non ami la persona, ma semplicemente perché è tutto così diverso che vivi in una sorta di frullatore e non riesci a realizzare con calma la situazione.

Spesso mi chiedono come sto e io rispondo in un solo modo:”mi sembro bipolare”. Perché vivi momenti di totale euforia e momenti di totale sconforto, e tutto questo nell’arco di poche ore.

Dopo impari che il dolore diventa parte integrante delle tue giornate. Che ti accompagna sempre, come un cane fedele. In sostanza, continui a fare le cose che facevi prima, ma ti accorgi che lo fai con disinteresse. O almeno, non ci prendi gusto.

La notte è il momento peggiore perché lì i tuoi pensieri non hanno freni, non hanno distrazioni. Sei in balia dei ricordi, dei momenti e per una persona sensibile è il momento di fragilità più forte.

Se prima poi, cercavi di far capire ai tuoi amici che stavi bene, ora tutto ha perso un po’ di interesse e la prima cosa che noti è che non ti importa del loro giudizio. Non ti importa nulla. Da una parte è una vittoria. Il tanto agognato desiderio di non aver paura del giudizio  si è finalmente avverato. Questo perché pensi che nessuno potrà mai capire il dolore che hai dentro, il vuoto che ti prende quando vorresti chiamare tua mamma e raccontargli una cosa bella e capisci che nessuno risponderà dall’altra parte della cornetta.

E’ un dolore costante perché sai che la rivedrai tra tanto tempo e in mezzo dovrai vivere la tua vita, senza la sua presenza, senza il suo sorriso, le sue risate e le sue rassicurazioni.

Tutti dicono che devi crescere, devi imparare a vivere senza di lei. Mi verrebbe da mandarli al quel paese perché non ne posso più dei consigli.

Non ne posso più dei “ti sto vicino”. Non voglio essere ingrata perché gli amici mi hanno dimostrato il loro affetto sempre.

Ma io, ora, non voglio nessuno accanto a me.

Ho bisogno di elaborare il lutto per conto mio.

Ma soprattutto ora che ho perso mamma, ho voglia di pensare a me.

Di pensare a quello che mi fa bene.

Non ho più voglia di stare con persone che non mi danno niente, se non ansie o buonismo non richiesto.

Ho voglia di partire e fare un viaggio da sola, lontano.

E ho già scelto la colonna sonora.

 

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L’Amor gentile…

Tempo fa mi era caduto l’occhio su questo articolo apparso sul blog “la 27°ora” dal “corrieredellasera.it”. In sostanza la giornalista spiegava come un matrimonio felice e durevole potesse essere tale anche dopo molti anni. Il segreto, svelato sempre dai luminari americani di turno, è quello dell’empatia.

Ebbene sì, sembra incredibile, ma se siete gentili e cortesi con la vostra dolce metà il matrimonio potrebbe durare più del previsto.

Bella scoperta penserete.  E’ abbastanza scontato che in una coppia la gentilezza e la disponibilità verso l’altro aiutano la relazione. Chi vorrebbe avere accanto una persona che non ti stima o non ti ascolta mentre provi a raccontarti?

In questo passaggio, si mette bene in risalto come l’importante sia sempre essere gentili con l’altro anche se poi vorremmo potergli dire tranquillamente altre cose (non ripetibili).

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A mio avviso, l’amore durevole non esiste. Esiste la sopportazione durevole.

Esiste la paura di rimanere soli che ti fa accettare difetti che a mente sana non avresti sopportato neanche per 10 secondi.

Ma si sa, gli scienziati americani ne sanno più di noi…loro.

E allora cosa dire? Evviva le coppie felici che basano le loro durevoli relazioni sull’amore e la reciproca empatia.

Ma ricordate che a fingere troppo, alla fine si scoppia.

Oppure no?

 

La verità è…

La verità è che è più semplice lamentarsi che agire. Esistono tante occasioni per reagire alle situazioni brutte. Eppure, non facciamo niente. Rimaniamo inermi, a farci trattare male, a soffrire.

Ma poi esiste un punto di non ritorno: un punto dove ti rendi conto di essere andata troppo in basso nella tua dignità. E allora è come un flash: apri gli occhi.

Ora capisco cosa provano i neonati appena aprono gli occhi per la prima volta:  è uno shock. Iniziano a vedere la realtà senza filtri, per come è. E fa male. Malissimo. Ma una volta che si sta così male, poi poco a poco si sta meglio.

Ti rendi conto che dare a persone che invece non ti danno mai ( e dico bene mai) niente è faticoso, doloroso e soprattutto inutile. Ma ci devi passare. Devi stare male per poi guarire. O almeno provarci. 

La consapevolezza è un arma a doppio taglio.

Da una parte ti libera dalla prigione della crocerossina, dall’altra ti fa capire di non essere mai stata né considerata né tanto meno amata.

E’ dura ammettere che se gli altri per te sono sempre esistiti, tu per gli altri non esisti.

Smettete di chiamare le persone, smettete di postare la vostra vita sui social e aspettate un segnale dai vostri soi-disant “amici”. Scoprirete che siete soli. Per carità, non soli totalmente. Ma avrete diminuito drasticamente il numero di persone che vi gravitano intorno.

Smettete di essere sempre presenti, sempre gentili, sempre disponibili e scoprirete che le persone che, fino a qualche giorno primo, avrete accudito amorevolmente, appena smettete di farlo vi ignorano completamente.

Ma non per cattiveria. Semplicemente perché non siete mai esistiti per loro.

Smettete di chiamare o sarete fregate per sempre. Fregate da uomini che quando vi interessate a loro, ti fanno notare le mancanze di altre donne nei loro confronti. Non rendendosi conto che tu hai perso tempo per loro, hai perso tempo per sapere come stavano. Ma loro si preoccupano unicamente delle persone che non hanno chiamato, non hanno scritto  o semplicemente non si sono mai fatte vive.

E quelle sono donne vincenti.

Ora mi direte che è normale: “in amore, vince chi fugge”.

Io, invece, vi dico che “in amore vince chi si vuole bene”.

Ma non un voler bene all’altro, un voler bene a se stessi.

E imparare a farlo è la cosa più difficile.

Difficile, ma non impossibile. 

Enjoy…

PS: le considerazioni sono personali e rivolte al genere maschile. Ma sono certa che anche gli uomini avrebbero molto da ridere sui comportamenti di noi donne.

Quindi, fatevi avanti e scrivete pure le vostre considerazioni.

 

verità

Mario Dondero, la vera anima della fotografia

« Il colore distrae. Fotografare una guerra a colori mi pare immorale»

Pochi giorni fa ci ha lasciato un grandissimo fotografo, Mario Dondero.

Classe 1928, era considerato il punto di riferimento della fotografia italiana moderna.

Quando si è sparsa la notizia del suo decesso, ho letto su twitter mille commenti su di lui. Gente che ha avuto l’onore e la fortuna di conoscerlo, giornalisti che l’hanno intervistato, amanti della fotografia che hanno iniziato ad vedere la composizione con occhi diversi grazie a lui. Ci sono stati solamente pensieri e parole positive, per un uomo che non solo era un abile occhio di lince, ma anche una persona dotata di una cultura profonda e ben strutturata.

Solitamente quando una persona va via, ci sono sempre le frasi di circostanza. Per Dondero, invece, la cosa era differente. Tramite le parole e i ricordi altrui è come se non fosse mai morto, ma continuasse a vivere nella sua casa di Fermo, intento a pensare ad altri viaggi.

Alcune persone, per me, rimangono immortali. E lui per me rimarrà sempre il più grande fotografo mai esistito.

Enjoy Mario, ovunque tu sia! 

 

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Fine anno, nuovo inizio?

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Tra due giorni inizia il 2016 e uno spera che l’anno nuovo sarà ricco di belle sorprese e grandi novità. 

Nuovo anno è anche sinonimo di nuove propositi e vecchi bilanci.

E secondo voi potevo non farli anche io?

Di vecchi bilanci ne ho piene le tasche. Sono passati 365 giorni di crescita, di maturazione, di gioie ma anche di delusioni.

Delusioni che non derivano unicamente dall’altro, ma soprattutto da me stessa.

Sì, sono stata delusa da me stessa tantissime volte perché ogni singolo momento di sconforto derivava dalla mio stato d’animo, dal mio essere debole, dal mio essere troppo gentile.

Sono una persona molto sensibile e spero che gli altri siano più clementi nei miei confronti. Ma perché dovrebbero farlo? Chi sono io per essere trattata in modo diverso? La vita è una giungla e i leoni mangiavano le gazzelle da sempre. Q

Quindi vecchi bilanci fanno gioco con nuovi propositi: quelli di non essere più la vecchia e triste Cristina.

Sì, voglio reagire.

Voglio gridare al mondo che esisto e che sono una persona fantastica.

Non voglio più dare una seconda chance a chi mi ha spezzato il cuore, amore o amico che sia.

Voglio essere schifosamente felice perché me lo merito. 

E se pensate che sia troppo da egoisti, allora ve lo dico anche io: sì, sono egoista e sono contenta di esserlo se mi servirà ad essere una persona migliore.

Enjoy! 

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